13. QUANDO NOI MORTI CI DESTIAMO

Il protagonista è un famoso scultore, il professor Arnoldo Rubek, che ritorna in Norvegia, colmo di gloria e di denaro. Ma non è felice. Dopo aver portato a termine, alcuni anni prima, il suo capolavoro, Ilgiorno della Resurrezione, si rende conto che è capace, ora, di scolpire solo busti insignificanti. Tenta di dimenticare l’angoscia di essere un artista forse inaridito e vorrebbe godersi la vita: ma non ci riesce. Con la giovane moglie Maja il dissidio è forte: lui è un tipo solitario e immerso nel pensiero assillante di una nuova opera d’arte, mentre lei desidera una vita più intensa. Maja trova un uomo più attraente in Ulfheim, l'”ammazzaorsi” che, teatralmente, dà prova del suo disprezzo per ogni manifestazione culturale. Rubek, per conto suo, rivede Irene, la donna che era stata la sua modella per l’opera principale. Irene aveva amato Rubek, avrebbe voluto amarlo completamente, con l’anima e il corpo, ma lui non l’aveva accettata come donna, quasi non l’aveva “sentita” fuori dell’arte: aveva voluto “creare la donna pura”, ma non l’aveva mai dimenticata. Irene era colpita da una malattia nervosa, pensava di aver ucciso il marito e i figli; era come una “morta vivente”. Nella disperazione che affligge i due e in un ultimo tentativo di rivivere, una notte salgono sulla montagna dove una valanga li sorprende. Muoiono insieme: la morte è l’unica soluzione. L’inizio del dramma è di tipo “realista descrittivo”: è un giorno d’estate, in un elegante stabilimento balneare. A un tavolino, nel giardino, i protagonisti stanno facendo colazione, conversano, nei loro discorsi c’è un po’ di noia. Pian piano,  si pone la domanda centrale: come può un artista, nella sua attività autentica, essere allo stesso tempo partecipe di quella felicità che offre un normale amore umano? Ecco il dilemma. Il professor Rubek, l’orgoglioso eroe del dramma, l’uomo che crede di avere conquistato l’immortalità e la gloria, quando scopre di non aver mai vissuto, si ridesta solo per tornare a morire.

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