7. L’ANITRA SELVATICA

Il primo dei cinque atti si svolge in casa del grossista Werle, gli altri nell’appartamento del fotografo Hjalmar Ekdal. L’esistenza del fotografo Hjalmar è una finzione; per l’attività pratica egli trova un surrogato nella grande “scoperta” scientifica che ha in mente e alla quale si convince di credere e far credere gli altri. Hjalmar è amleticamente malinconico, idolatrato dalla figlia Hedvig, rispettato e curato dalla moglie, idealizzato dal compagno di scuola, Gregers Werle.  Hedvig, rappresenta l’integrità e la verità, ed è disposta a sacrificarsi per il padre. Questa ragazza dà tutto di sé nella lotta fra gli adulti fino ad arrivare al suicidio. Ma nemmeno la morte di Hedvig riesce a rompere la stagnante atmosfera di quotidiana mediocrità. Solo la madre piange dinanzi al corpo esamine; gli altri continuano a declamare la loro parte grottesca e spettrale. Il vecchio Ekdal, padre di Hjalmar, rappresenta il “tempo perduto”: è una figura d’eroe incompreso e inconsolabile, una parodia del tragicomico. Relling, il medico, amico della famiglia Ekdal, cerca di convincere gli uomini che nessuno sa sopportare la verità, che la “menzogna vitale” può essere la base della felicità.  Egli è umano e comprensivo quando in una frase significativa dice: “Se togli la menzogna vitale a una persona media, le togli, allo stesso momento, la felicità”. Se il pastore Brand nel dramma omonimo è l’integer vitae, l’incarnazione del vero assoluto, la coscienza collettiva dell’umanità, Gregers Werle (che ne L’anatraselvatica è il suo corrispettivo), viene presentato con ironia, quasi con antipatia. Con la sua “esigenza ideale” e la sua “febbre di giustizia” diventa ridicolo e patetico. Il ritratto di Gregers Werle è una dura autocritica da parte di Ibsen, che si libera dell’idealismo dei drammi precedenti, in cui i personaggi erano modelli assoluti, non umani. Il simbolismo ibseniano si nota già nei primi drammi, per esempio in PeerGynt, ma neL’anatraselvatica i simboli sono molto più importanti, più essenziali. Psicologicamente questo dramma è la raffigurazione di destini umani nella loro realtà quotidiana. L’anatra selvatica con le ali colpite, simbolo delle illusioni tradite, si trova addirittura sul palcoscenico, nascosta in un cesto e non vista dal pubblico, ma sempre presente come un memento della situazione interna del dramma, dell’ambiente chiuso, soffocante, in cui si svolge. Il simbolo dell’anatra dà così il via a un’intreccio secondario che arricchisce con sfumature essenziali l’azione drammatica.

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