1. R. Alonge, Teatro e spettacolo del secondo
ottocento, Bari, Biblioteca Universale
Laterza, 1988.
Il testo analizza la situazione teatrale, italiana in particolare aprendosi, dove opportuno, a rimandi Europei. La trattazione, infatti, parte da un analisi precipuamente Grande Attoriale, sottolineando il passaggio alla fase cosiddetta mattatoriale della Duse e di Zacconi. Alonge non può fare a meno di soffermarsi sulla nascita della regia a livello europeo e ci tiene a sottolineare che “ la macchina della regia invoca la macchina del testo” ed è per questo motivo che si appresta ad analizzare anche primi autori come Ibsen e Strindberg e di questi, la loro portata prima a livello europeo e poi a livello italiano in cui si inizia a sviluppare una drammaturgia autonoma con Giacosa, Bracco, Praga. Di qui, si muoverà verso la chiarificazione della nascita di organizzazioni di controllo come la Società Italiana degli Autori e le lotte che si sono avute nei confronti di importatori privati di copioni francesi, iniziando così a parlare dell’importanza delle traduzioni. Nell’ambito di questa discussione, importante risulta essere il riferimento alla rivista “L’Arte Drammatica” di Icilio Polese e soprattutto il valore che ha avuto l’opera di traduzione e diffusione di Ibsen in Italia del figlio Enrico. Inizia a pieno l’analisi attraverso cui Ibsen viene assorbito in Italia ed emergono una serie di problemi relativi alla prolissità dei drammi, ai “cattivi argomenti” da censurare e all’addomesticamento per il pubblico borghese italiano. Dopo il problema drammaturgico, si passa al problema interpretativo di Zacconi, il quale dà di Osvald di Spettri un messaggio sbagliato, di una patologia come un acquisto e non come una degenerazione. Le testimonianze sono di d’Amico e di Pozza i cui testi vengono affrontati più avanti.
2. R. Alonge, Ibsen. L’opera e la fortuna
scenica, Milano, Casa editrice Le Lettere,
1995.
Roberto Alonge apre la trattazione con un capitolo dal titolo “Il caso Ibsen” per attestare la nascita del teatro borghese moderno con l’ entrata in campo del drammaturgo. Anche qui, un breve excursus biografico, seguito da un riferimento all’ingresso dell’ autore sui palcoscenici europei: Danimarca, Germania, Francia, Russia, Inghilterra, Italia. Ovviamente per ogni Paese c’è un’interpretazione diversa, in Francia ci sarà Lugnè-Poè che vedrà in Ibsen una matrice simbolista. Vi è un riferimento a Groddeck e al suo pensiero anticonformista circa il femminismo ibseniano. Abbiamo una trattazione sui testi a livello drammaturgico e sembra che Alonge ponga in evidenza l’ importanza delle traduzioni, la predilezione, tra gli italiani, per quella curata da Anita Rho e soprattutto una caratteristica tipica di Ibsen di dare rilievo ad alcune parole chiave come ad esempio il “vidunderling”, il “meraviglioso”, di Nora. Un intero capitolo è dedicato alla fortuna sulle scene italiane che contano un “doppio esordio”: il primo della compagnia di Emilia Aliprandi Pieri, che non riscosse un gran successo e un secondo di Eleonora Duse, che lo portò al successo. Viene riportato lo spettacolo di Zacconi con i soliti commenti circa lo sbaglio di interpretazione. Infine vengono citati alcuni grandi esempi di fortuna registica: Squarzina, Costa, Sthreler, Gassman, Ronconi, Castri e Navello.
3. S. d’Amico, Ibsen, Milano, Fratelli Treves,
1928.
Ciò che d’Amico individua come elemento cardine della drammaturgia di Ibsen è esemplificato nelle sue parole:
La nostra anima nuova anela alla felicità, per cui è creata, e il mondo moderno pare offrirle tutti i mezzi atti alla sua conquista: ma ognuno di noi porta in sé un cadavere, di cui non sa liberarsi: è l’eredità del Passato, è la morta Regola d’un età che non è la nostra, e che ci soffoca e che ci schianta, impedendo a ciascuno d’esser se stesso, di vivere in pienezza di sincerità e di gioia.
Il conflitto a cui, secondo d’Amico, Ibsen darebbe forma espressiva nei suoi drammi è appunto quello fra l’anelito umano alla libertà e la regola morta che, ereditata come un cadavere dal passato, impedisce all’uomo di vivere il presente. Ibsen dal Vangelo ha isolato, ai suoi fini, uno dei motivi essenzialissimi, quello dell’affermazione dell’autonoma libertà dello spirito contro il morto “formalismo farisaico”. Eppure, se è proprio questa “nota, religiosa e umana che lo fa grande”,
quanto al trascendente […] Ibsen l’ha messo da parte, anzi l’ha negato tout court: per lui è tirannia, e contraddizione in termini con autonomia e libertà. Così tutta la sua visione s’è storta in modo orribilmente parziale. Avendo identificato la Regola col Fariseismo, s’è logicamente buttato all’identificazione opposta: libertà uguale anarchia. Quindi il mondo gli s’è spaccato in due; di qui la realtà miseranda, di là l’ideale, assolutamente soggettivo, e impossibile ad attingersi. Risultato morale: disperazione.
Non si perde in trattazioni lunghe sulle singole opere, pur trattandole dal principio, cioè dalle prime opere in versi. Inizia col descriverci la persona di Ibsen, un’immagine dettagliata da scienziato e prosegue col parlare della Norvegia e dei motivi che hanno allontanato Ibsen portandolo a preferire l’Italia:” Alla franca luce del sole italiano, il poeta intraprese l’esame di coscienza, suo e dell’umanità. Non che intendesse, barbaro come era, tutto ciò che è nostro: comprenderà soltanto a mezzo la nascente Italia, e Roma eterna.” Prosegue ad analizzare i vari drammi borghesi, ci parla della questione del femminismo, di Eleonora Duse sulle nostre scene e dell’incapacità della fredda Norvegia di capire il proprio Autore.
4. I. M. Gabrieli, Rilettura di Ibsen, Napoli,
Intercontinentalia, 1977.
L’autrice si pone in linea con le più recenti ricerche e discussioni ibseniane. Il quesito è: quanto di Ibsen si può ritrovare nel mondo moderno? Dove risiede l’attualità dei testi ibseniani? La Gabrieli è persuasa che ci siano all’interno dei drammi canonici di Ibsen spunti per un’analisi del mondo contemporaneo.
5. P. Gobetti, Scritti di critica teatrale,
Torino, Einaudi, 1923.
Piero Gobetti ci testimonia della ricezione ibseniana del primo ‘900 e delle critiche alle interpretazioni celebri del tempo: è analizzata l’interpretazione della Diva de La donna del mare e testimonia la capacità straordinaria della Duse di “riscrivere” il testo in base ai propri sentimenti; una testimonianza sulla messa in scena, poco adeguata per il critico, di Spettri da parte di Zacconi ; lo spettacolo Hedda Gabler di Emma Gramatica; in più vi è una lettura di Casa di Bambola come testo più esemplificativo dell’animo di Ibsen, più sincero e aperto al gusto della “catastrofe”.
6. A. Gramsci, La morale e il costume (“Casa
di bambola” di Ibsen al Carignano) in
Letteratura e vita nazionale, Torino, Editori
Riuniti, 1927, pp. 336-340.
Il testo fa parte del capitolo “Cronache teatrali” in cui Gramsci è attento osservatore degli spettacoli del primo ‘900 e ne riporta saggiamente le reazioni del pubblico. Nel paragrafo in esame parla dello scroscio di applausi ai primi due atti di Casa di bambola di Emma Grammatica e del timido plauso dell’ultimo atto. Di qui parte un’analisi puntuale sul carattere universale dell’atto femminista, poco capito dal nostro pubblico in quanto comprensibile, secondo l’autore, solo a donne del proletariato, donne lavoratrici. Loda l’attrice per aver messo in scena un dramma moderno intriso di moralità, non biecamente disdicevole come lo vedeva la borghesia illustre, ma rivolto ad una “umanità superiore il cui costume sia pienezza di vita interiore, escavazione profonda della propria personalità e non vile ipocrisia, solletico di nervi ammalati, animalità grassa di schiavi diventati padroni”.
7. “Il Castello di Elsinore”, quadrimestrale di
teatro, anno VII, 21, 1994.
La rivista ci fornisce una serie di saggi, rispettivamente di Franco Perrelli, Edoardo Giovanni Carlotti, Roberta Todros e Massimo Lenzi. Come se seguissero un andamento cronologico abbiamo il primo che ci presenta gli anni della formazione, 1840–1865 in cui viene spiegata l’importanza dell’unico teatro della città di Bergen, concepito su principi barocchi, e della cultura danese fortemente presente; della predilezione per i vaudevilles e per l’ondata realista. Ci si interroga sull’ essere del lavoro registico di Ibsen, contrapponendo la sua personalità taciturna a quella del più cordiale BjǾrnson. Tratta del suo lavoro giornalistico e del concorrente Teatro di Kristiania al quale successivamente Ibsen si rivolgerà. Una borsa di studio gli permetterà di venire a studiare in Italia e Perelli afferma che qui inizia la fase del cosiddetto teatro impossibile, in cui tentare l’inverosimile.
8. C. Magris, Ibsen in Italia, Milano, Aragno,
2009.
Il libro contiene – oltre al saggio di Claudio Magris che ne dà il titolo – importanti contributi di Franca Angelini (Il femminile in Ibsen) e Franco Perrelli (Ibsen e il realismo: da Clemens Peterson a James Joyce).
9. F. Perrelli, Introduzione a Ibsen, Bari,
Laterza, 1988.
L’ opera critica di Perrelli è di fondamentale importanza per un paragone per quanto riguarda il tema della fruizione di Ibsen da parte dei critici. Siamo partiti dunque dai primi del ‘900 con Slataper e d’Amico per arrivare all’ approssimarsi dei giorni nostri. Perrelli analizza i vari testi, ci fornisce informazioni nuove rispetto alle altre opere trattate: sappiamo ad esempio che l’opera di Ibsen era considerata “La Roma del dramma moderno”. Perrelli tiene sempre presente il legame con il nostro Paese. Anch’egli, come Lugné Poe, ci fornisce una lettura simbolista in alcuni tratti. Infine dedica un intero capitolo all’Italia.
10. a cura di E. Puglia, Atti del convegno su
Henrik Ibsen. Sorrento 13 gennaio 1982,
Sorrento, Edizioni Gutenberg, 1983.
In occasione del centenario dell’ opera Spettri del drammaturgo norvegese, l’Amministrazione comunale di Sorrento, insieme con l’assessorato ai Beni Culturali e le Associazioni Culturali della città, propongono una celebrazione per ricordare la presenza di Ibsen nelle loro zone, che culminerà con la messa in scena di Spettri e un doppio incontro tra i delegati di Sorrento e di Skien nelle rispettive cittadine.
11. C. Reznicek, Ibsen in Italia, Oslo,
Biblioscandia, 1980.
In una doppia lingua, italiano–norvegese, sono proposte, poste in ordine cronologico, le tappe della “sosta” italiana di Ibsen. Sono scritte le strade delle sue diverse abitazioni con annesse fotografie. In più punti è segnalata l’importanza dell’ambiente circostante evocata all’interno delle opere, e della predilezione di Ibsen a lavorare nelle stagioni calde. Un’ ottima mappa Ibseniana.
12. A. Savinio, Vita di Enrico Ibsen, Milano,
Piccola Biblioteca Adelphi, 1979.
Alberto Savinio è importante nella trattazione in quanto da questo testo, e soprattutto dai suoi altri romanzi, si evince la vicinanza dei due autori. Savinio, nelle ultime pagine di Vita di Enrico Ibsen, dichiara specificatamente di sentirsi vicino al collega norvegese e in più sappiamo che in alcuni suoi scritti, come ad esempio La tragedia dell’infanzia emergono alcuni temi simili a quelli di Ibsen: l’ereditarietà delle colpe passate, il mare.
13. S. Slataper, Ibsen, Firenze, G. C. Sansoni
Editore, 1914.
Il testo tratta presenta un quadro generale della formazione, la vita, la fortuna e la diffusione di Ibsen in Europa. Si parte con l’affrontare i primi anni giovanili di Ibsen passando per la gioventù che lo vede farmacista, sino allo sbocco artistico che lo invogliano a ribellarsi alla società norvegese e a rifugiarsi altrove, con una predilezione per l’ Italia. Emerge in particolare, in questa prima parte, il vuoto drammaturgico norvegese, caratterizzato dalle sole influenze danesi che spingeranno Ibsen a comporre le prime opere su un ricalco di saghe vichinghe, cronache, leggende e folklore medievale Dopo questo excursus biografico, si passa all’ analisi dei motivi e delle intenzioni dei vari capolavori ibseniani. L’autore in alcune parti afferma di non trovare alcuna influenza diretta dell’ambiente italiano nelle opere, ma vi è un accenno dell’importanza dei luoghi di Piazza S. Pietro e della basilica per il concepimento di Brand. Un passaggio rilevante sembra essere la chiarificazione del femminismo di Ibsen in cui viene affermato che a Roma Ibsen parlò “per la prima volta pubblicamente di femminismo, per convincere i consoci del “circolo degli artisti scandinavi” ad affidare il posto di bibliotecaria sociale ad una donna e a riconoscere il voto alle socie”.
14. di S. Urso Ibsen in Italia in: Scene di fine
800 l’Italia fin de siecle a teatro a cura di
Carlotta Sorba, Roma, Carocci, 2004, pp.
193-200.
Il saggio affronta la ricezione che si è avuta di Ibsen in Italia e l’impatto sul pubblico. Ci delinea un quadro preciso dei problemi di traduzione, dei conflitti che sono sorti tra Piero Galletti (che ha tradotto il testo usato per la prima vera messa in scena Ibseniana utilizzata dalla compagnia di Emilia Aliprandi Pieri) e Luigi Capuana ( il quale traduce il testo per Eleonora Duse e sarà riconosciuto da Ibsen quale traduttore ufficiale); i conflitti che sono sorti successivamente tra Treves e Polese. Numerosi sono poi i pareri raccolti circa lo spettacolo di Eleonora Duse del ’91.