2.1 ELEONORA DUSE

1. di L. Caretti, La Tarantella di Nora in La

didascalia nella letteratura teatrale

scandinava. Atti del Convegno Italiano di

Studi scandinavi. Firenze 21–22–23 maggio

1986. A cura di Merete KjǾllerritzu, Roma,

Bulzoni, 1987 pp. 37-49.

Casa di Bambola necessitava di un addomesticamento per il pubblico borghese italiano e la Duse era ben consapevole che la scena della tarantella era intrisa di una passionalità che non sarebbe stata vista di ben occhio. Laura Caretti ci riferisce con precisione la situazione conservatrice italiana e le motivazioni che hanno indotto l’attrice a sostituire la scena e ad indossare non più il “vestito da pescivendola comprato a Capri”, ma un vestito da Arlecchino.

2. C. Molinari, L’attrice divina in Il

teatro italiano dal naturalismo a Pirandello

a cura di Alessandro Tinterri, Bologna, Il

Mulino, 1990, pp. 359-377.

“La Duse avrebbe voluto tornare a recitare con un repertorio interamente ibseniano: lo disse a Zacconi in una lettera del febbraio 1921 […]”

Il saggio sottolinea il forte interesse dell’attrice nei confronti di Ibsen, analizzando però anche altre messe in scene come La porta chiusa di Praga e Così sia di Scotti. Tra i testi ibseniani da lei interpretati qui è analizzato Spettri, che aveva rinominato Fantasmi e La donna del mare.

3. M. Schino, Arte del naufragio, “La

donna del mare” di Eleonora Duse 

in Henrik Ibsen, la signora del mare, Torino,

Rosenberg e Sellier,  1995, pp. 143-166.

Il saggio in questione, in una più ampia trattazione del testo La donna del mare, analizza la messa in scena con cui ritorna al pubblico Eleonora Duse nel 1921. Ne è offerto un “primo quadro” dove vengono trascritte anche le opinioni di d’Amico e Gobetti; poi tratta della possibilità del testo, colta dall’attrice, di offrire una pluralità di spunti coerenti e incoerenti agli attori per la loro interpretazione. Si parla del rapporto con Zacconi, spronato con una lettera a non avere un atteggiamento protettivo nei confronti della Diva; si parla di gesti strani, del cambiamento, rispetto ad altre attrici che interpretavano drammaticamente con gesti spasmodici, verso un tono invece felice e sorridente. Vi è una testimonianza di Luchino Visconti, un accenno alla contronarratività grandeattorica e al significato delle trecce bianche di Ellida/Eleonora.

4. F. Simoncini, Rosmersholm di

Ibsen per Eleonora Duse, Pisa, Edizioni ETS,

 2005.

Il testo affronta in generale la presenza di Ibsen all’interno della vita teatrale della Diva.

In un secondo momento affronta la volontà della Duse di tradurre essa stessa, dal francese, il testo di Rosmersholm, disdegnando la vergognosa traduzione di Enrico Polese Santarnecchi e dell’influenza sull’attrice di Lugnè–Poè.

Nel capitolo immediatamente successivo viene definita la ricostruzione dello spettacolo sulla base di cronache teatrali del tempo. Particolarmente interessante è la riproduzione del copione dell’attrice a chiusura del testo.

5. di S. Urso, Ibsen in Italia in Scene di fine

ottocento: l’ Italia fin de siecle a teatro  a

cura di Carlotta Sorba, Roma, Carocci, 2004,

pp. 193-220.

Il saggio analizza in maniera veloce, ma puntuale, l’ingresso sulle scene italiane di Ibsen trattando ampiamente anche i problemi di traduzione che ne sono derivati e quindi la “Biblioteca Ibsen” di Enrico Polese, la traduzione di Capuana per Eleonora Duse e il problema impresariale delle agenzie che detenevano il monopolio sui copioni.

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