HENRIK IBSEN

Nato a Skien nel 1828 Ibsen ebbe un’infanzia chiusa e tormentata, resa più amara dalle difficoltà familiari determinate dal fallimento del padre, un tempo ricco negoziante e armatore. Di temperamento scontroso e taciturno, dopo aver fatto anche il garzone di farmacia, inizia l’attività di drammaturgo nel 1848, con la pubblicazione del suo primo dramma Catilina, che traeva ispirazione da Schiller e dai moti rivoluzionari di quell’epoca.

Nel 1851, con la qualifica di collaboratore artistico, è scritturato dal teatro di Bergen, dove avverrà la sua vera maturazione di autore drammatico e dove vengono rappresentati i suoi testi La notte di San Giovanni (1853), Il tumulo del guerriero (1854) , Donna Inger di Ölstraat (1855),  Olaf Liljekrans (1856) , Il festino a Solhaug ( 1856) ispirati alle tradizioni popolari norvegesi e al loro mondo fiabesco. Tra il 1858 e il 1864 scrive I guerrieri a Helgeland, La commedia dell’amore, I pretendenti al trono.

Durante un lungo soggiorno in Italia ( 1864-1868), e sotto l’impulso di uno slancio d’indignazione per gli avvenimenti politici, scrive Brand, cui seguirà uno dei suoi capolavori, Peer Gynt (1867), composto tra Ischia e Sorrento. Nel 1869 scrive La lega dei giovani, che rappresenta un primo passo verso le sue nuove teorie, fondate sull’analisi psicologica della realtà sociale che lo circonda, spesso grigia e miserabile.

L’ultimo suo dramma in versi, Cesare e Galilei, è del 1873: dopo scriverà solo in prosa. Nel 1877 scrive Le colonne della società un atto d’accusa contro l’ipocrisia sociale e il primo testo in cui si evidenziano il suo nuovo stile e la sua riforma drammaturgica, etica ed estetica. Dal 1878 in poi usciranno i capolavori Casa di bambola (1879), Spettri (1881), Un nemico del popolo (1882), L’Anitra Selvatica (1884), Rosmersholm ( 1886), La donna del mare (1888), Hedda Gabler (1890).

Dopo un lungo vagabondare, negli anni ’90 dell’ 800 Ibsen ritorna in Norvegia per stabilirsi a Cristiania (l’odierna Oslo) , dove scrive le ultime opere: Il costruttore Solness (1892), Il Piccolo Eyolf (1894),  John Gabriel Borkman (1896) e Quando noi morti ci destiamo (1899-1900), come sottotitolo “epilogo drammatico”, presagio, forse, di quel colpo apoplettico che, nel 1900, gli lederà le attività cerebrali e lo farà vivere ancora per sei lunghi anni, immobile nella sua stanza, dove morirà il 23 maggio 1906.

Dopo le prime reazioni di violenta condanna da parte del pubblico (un critico definì i testi ibseniani un “lebbrosario morale”), Ibsen fu considerato alla stregua di Strindberg, un caposcuola. Ibsen aveva creato un teatro in piena corrispondenza con gli ideali della classe borghese del suo tempo, con tensioni che oscillano tra mondo simbolico e mondo onirico, tra lotta dei sessi e torbidi rapporti familiari, tra vita sociale e vita politica.

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